Marina Laezza, viene da Orvieto, in Umbria e si avvicina al ciclismo su strada grazie all’attività promozionale svolta dalla società del paese. E’ proprio in un pistino nel cuore d’Italia in cui Marina sceglie di mettersi alla prova.

“Una volta arrivata mi diedero una bicicletta, un casco e la divisa della squadra. Il mio direttore sportivo, teneva particolarmente all’acquisizione di una tecnica efficace nella guida del mezzo. I primi 3 anni della categoria giovanissimi li ho dedicati alla gimkana, ricordo che gli unici momenti in cui non ero in sella, erano perché stavo aspettando il mio turno: ero innamorata della bici e della libertà che mi portava”

Una volta passata al quarto anno della categoria giovanissimi, nonostante si fosse distinta negli anni precedenti, inizia a non sentirsi abbastanza. E’ in quell’anno che Marina inizia ad essere seguita dall’allenatore dei bambini più grandi: troppe aspettative e troppe pressioni su una bambina che dovrebbe correre per divertirsi e non per il singolo risultato.
“Ho smesso di andare al pistino nel pomeriggio e ho iniziato ad allenarmi sulla strada. Mi dicevano che se avessi voluto diventare qualcuno, avrei dovuto fare di più. Inizialmente non prestavo attenzione al kilometraggio, ma andando avanti, tornavo a casa con 50/60 km al giorno, facevo le sfr su una salita di 2 km ed anche gli allunghi, in salita.
Ho iniziato ad usare il cardio da bambina, per i lavori specifici. D’inverno, invece, mi allenavo in palestra: facevo sessioni di pressa dai 150 ai 180 kg.”

Da g6 Marina, inizia ad essere vittima di violenza psicologica. La bicicletta ormai inizia ad essere un peso, ed ogni km percorso, una sofferenza in più.
“A 11 anni ero considerata “troppo grande rispetto alle altre bambine”. A 12, hanno iniziato a definirmi “grassa”.
Mi era stata posta una regola: dimagrire per presentarmi alle corse. Per dimagrire, facevo 100 km al giorno e seguivo una sorta di dieta, mi sono state addirittura consigliate delle proteine da assumere. Poi, un giorno, ho avuto un crollo mentale e ho deciso di appendere la bici al chiodo.”

Quando tutto sembra ormai un brutto ricordo, arriva Mimmo, l’angelo custode di Marina.
Il brutto ricordo, si trasforma in una favola. Mimmo riporta Marina in superficie, le insegna a restare a galla e a difendersi dagli squali in gruppo. Con Mimmo vince il suo primo campionato regionale e inizia ad approcciarsi al fuoristrada e alla pista, conoscendo il mondo della bicicletta a 360°.
“La persona che ha creduto in me, più di tutti, è stato Mimmo Tranchese. Ci siamo incontrati a Napoli per un allenamento. Il giorno stesso mi ha preso le giuste misure per la bici e dopo qualche tempo, mi ha mandato una tabella di allenamento studiata apposta per me.
Lo stesso anno, ho iniziato ad approfondire anche la mtb, il ciclocross e ho scoperto la pista. Queste discipline hanno colmato le lacune che avevo di base: ho imparato a “disegnare” le traiettorie e ad avere stabilità sulla bici.”

Nei due anni seguenti, passata alla categoria allieve, tutto il lavoro fatto tra i giovanissimi si ripercuote su Marina. Le sue ginocchia, iniziano a non rispondere alle sollecitazioni di carico. Così decide di non forzare e di puntare sulla preparazione invernale, in modo da arrivare preparata al salto tra le juniores.
“E’ come se avessi buttato due anni di gare. Nel momento in cui mi allenavo così tanto mi sentivo forte e appagata, adesso, ripensandoci, mi fa orrore. Quest’anno sono passata junior con la Zhiraf, sono stata la loro eccezione, ma col passare del tempo, ho capito che quello non era il mio posto, non mi è nemmeno stata fornita la bicicletta, com’era successo con le altre. Così ho deciso di non finire la stagione.”

Si sa: le guerriere si rialzano sempre. Così è anche per Marina: sta considerando l’idea di un ritorno alle due ruote con il team di Cicliste.eu.
La vera sfida non è ingaggiare le “campionesse”, ma aiutare le ragazze a crescere, emergere e seguirle. Inoltre l’organico sarà affiancato da una psicologa e da un nutrizionista qualificato.

“Ho capito che, se posta nelle giuste condizioni, ho ancora molto da dare al ciclismo. Così mi sono data una seconda possibilità. Ciò che mi dà questo sport, mi ripaga. L’idea di essere seguita da persone qualificate mi rassicura, saprei di stare lavorando bene. Trovo anche morale nel fatto che in nazionale, ci siano alcune ragazze con problemi alle ginocchia, spero, un giorno, di diventare una di loro”

Francesca Daniel